Arriverà il tempo dei funerali

Arriverà il tempo dei funerali, delle facce scure e dei volti segnati. I baffi grigi, e le auto, veloci. Primo pomeriggio: un arrivederci, una stretta di mano. Arriveranno le porte chiuse e le solitudini di una chiesa affollata. La frenesia, il silenzio, l’irreparabile. Ci sarà il passato, solo il passato. E lo sconforto, infinito. Un cerchio di uomini, soli, con le lacrime intorno e gli occhi persi nel vuoto. Gli occhiali, e i baffi, bianchi baffi senza futuro. Arriverà il tempo dei funerali. E una porta chiusa, inesorabile, alle spalle.

Su una spiaggia deserta e familiare

Cosa vorrei? Vorrei trovarmi improvvisamente in luglio, su una spiaggia deserta e familiare, con accanto due occhi azzurri che si guardano intorno meravigliati. Vorrei un panino imbottito prima di uscire di casa, un ombrellone rosso e blu scolorito dalle tante estati, un chiosco lontano che trasmette musica anni '60. Vorrei poter camminare sulla riva per chilometri, raccogliendo conchiglie e sassolini colorati. Vorrei aspettare il tramonto mentre il sale mi tira la pelle e l'acqua del mare si fa tranquilla. Vorrei perdermi sulla strada di ritorno, e sorridere. Sorridere. Così, senza un motivo…

Merry Christmas

Aguzzo la vista per riuscire a leggerne il numero. No, non è il mio neanche questa volta. Un fiocco di neve mi si attacca ai capelli, poi un altro e un altro ancora… Mi sta nevicando in faccia. Mi volto controvento., stringo il pacchettino tra le mani, e non riesco a trattenere un sorriso. Ripenso a un libro iniziato e mai finito. "E’ l’inverno più mite che si sia avuto da un quarto di secolo" scriveva Vittorini. Devo riprendere quel libro, mi dico. Devo assolutamente riprendere quel libro.

Canzone d’autunno.

– Sono da solo, vorrei mangiare.
Mi fa sempre uno strano effetto cenare fuori, da solo. Trovarmi a finire la mia cena in pochi minuti e poi pagare il conto. Ho sempre l’impressione che il cameriere mi guardi con compassione, come se cerchi di capirci qualcosa senza però riuscirci. Questa volta é giovane. Avrà la mia età. Gira tra i tavoli deserti con il suo strato bianco di colore e la sua macchinetta per le ordinazioni. Guarda verso la saletta fumatori. E’ deserta, ci sono solo io. Mi fissa ancora una volta e si avvicina.
– Desidera qualcos’altro? un dolcino, un caffettino?
– No grazie.
Rispondo con un sorriso stentato. Forse anche sarcastico. Mi osserva interrogativo, prende nota, e si allontana.

Fuori piove. Mi riparo sotto il tetto di una piccola casetta a due piani. Cerco il cellulare nella tasca dei jeans e provo a chiamare ancora una volta.

Ecco la porta aprirsi. Sento la sua voce formale e insieme cordiale. Scatto sulla sedia con il caffé tra le mani e le corro dietro. Lei non si ferma e non guarda dalla mia parte. E’ nervosa, e arrabbiata. Quando la raggiungo farfuglia qualcosa. Infila i soldi nella macchinetta e mi porge la ricevuta.
– Tieni un attimo.
Percorre il corridoio nella direzione inversa e richiude la porta alle sue spalle.

Osservo due arabi dalla finestra. Mi tiro la barba ormai abbastanza lunga. Fuori sta diluviando. Mi stropiccio gli occhi mentre lo guardo parlare alla mia destra. Solo un attimo di assenza. Lo guardo parlare alla mia destra. Lei adesso mi sta sorridendo da dietro i suoi occhiali bassi e colorati.

Cerchiamo un angolo tranquillo dove poter leggere le indicazioni. La stazione nevrotica ci ruota attorno e ci confonde. In autobus, poco prima, si respirava l’unione e l’insicurezza. La tensione.  Poco prima, in autobus, ci si perdeva nel silenzio.

Stringo la tartaruga tra le mani e continuo ad ascoltare. Parole su parole. La voce si alza, si fa insistente. Poi crolla in un pianto isterico. Un uomo di mezza età distingue le sagome dentro l’abitacolo. Si ferma. Les sanglots longs / Des violons / De l’automne / Blessent mon cœur. Adesso mi corre dietro con qualcosa tra le mani. Ha gli occhi lucidi e il passo nervoso. Tout suffocant / Et blême. Pensieri su pensieri. Ricordi su ricordi. Et je m’en vais / Au vent mauvais. Poi un sorriso, finalmente.

Su una scala da una stella.

– T’avissiru a mangiari i cani, a ttia e a tò pà.
Il cuccettista sbaglia persona. Si presenta coi suoi baffi grigi da texano sotto cui nasconde un dialetto incommestibile. Mostra allo scompartimento gli ultimi molari sopravvissuti all’improvvisa furia recalcitrante della vecchia cavalla da corsa. La signora ride, per cortesia e per gentilezza. Lui la guarda con aria nervosa e prosegue il suo racconto. Le carrozze corrono silenziose lungo l’Italia. Tagliano in due il paese mentre mi sforzo di leggere il nome dell’ultima stazione di provincia. Dalla porta sbarrata penetra un fastidioso odore di vinello da tavola. La notte cancella ogni preoccupazione. Una ragazza innamorata sta in mezzo alla gente, ma il pensiero lo rivolge alla metà che ha sempre cercato e sospirato. Il suo corpo é lì ma non la sua anima. Si muove assente tra la gente e gli occhi le brillano quando pensa a chi é riuscito a farla tremare con il suo sguardo.

Quando decido di tornare indietro la vedo procedere sicura verso il mare. Mi guardo per un attimo intorno, poi decido di andare. Scaravento lo zaino sulla sabbia e quando sfilo la maglia sto già correndo. Corro fin dentro l’acqua e non smetto neppure quando lei, accorgendosi di me, continua a fissare il suo orizzonte. Neppure una parola. Nessuna esitazione. Un bacio che sa di sale, un abbraccio che ricompone i pezzi d’una giornata, una rosa che custodisce il significato d’una promessa mantenuta. Brillano i raggi mentre sfioro i tuoi pensieri. Osservo la lattina di té semi-affondata nella sabbia. Ti vedo distesa affianco a me. Mi guardi e mi sorridi. Quel sole alto e caldo e quel silenzio sono un preludio alla mia felicità.

Ci spostiamo disordinatamente tra i vicoli deserti del centro.

Mi affaccio sorridendo. I sandali in gomma quasi non toccano l’asfalto. Cerco di scorgere un’insegna lontana e procedo a passo svelto. Lei mi raggiungerà presto. Lei ne sarà felice. È un’esplosione di rosso e di verde incorniciato con dovizia e precisione. Fissi una luce accesa in una serata ormai lontana. Giallo e caldo come uno specchio che non riesci a vedere. Ricordi quando mi seguivi silenziosa su una scala da una stella?

Mea culpa

Non sono un sogno

Fumo una sigaretta guardando il mare.
Il riflesso delle stelle si stende sull’acqua nera.

–    Sono onesto, un problema c’é. Ma lo sistemeremo…
Il silenzio, da queste parti, ha un significato importante. Il revisore non dice di si ma neppure di no. Sorrido, faccio un passo indietro e mi accomodo su una delle sedie predisposte per l’attesa. E’ un lavoro monotono e per nulla gratificante, ma lo svolge con la solerzia del primo giorno. E’ un brav’uomo, il revisore. E non mi vede neanche quando vado via, impegnato com’è con i suoi controlli e tutti quegli accertamenti.

Osservo la lunghezza dei capelli crescere all’ombra del sole veloce di mezzogiorno.

Il movimento rapido delle chiavi, sempre lo stesso.

Una bimba saluta dal finestrino. Il suo viso é serio, quasi avesse paura. Timoroso, come se non riuscisse a capire quale sarà la sua reazione. I capelli le crollano sugli occhi con una spessa cascata. L’uomo dal casco bianco sorride imbarazzato e muove la mano come a voler ricambiare la gentilezza. Poi scompare.

Fumo un’altra sigaretta osservando il riflesso della luna sul mare. E’ meraviglioso accompagnare il vento che ti disordina i pensieri. Il telefono squilla sull’ultima boccata. Questa notte sarà fresca ed insonne, e non avrà voce, perché queste parole smettono d’esistere se non vengono pronunciate.

Galleggio in mare aperto, e mi accorgo di star facendo qualcosa che mai, prima d’ora, ero riuscito a fare. Un branco di pesciolini striati si muove lentamente attorno alle mie gambe. Li seguo e mi trovo a girare confusamente su me stesso. L’acqua è tiepida e il vento mitiga l’avidità dell’estate. Adesso sono fermo, con l’acqua alle ginocchia, e fisso il sole ad occhi chiusi. La spiaggia è deserta, la gente pranza. Un ombrellone chiuso a farmi compagnia.

Framing

Una presenza ingombrante. Occhi azzurri incorniciati da bambolina russa. Un silenzio che genera silenzio. E una presenza di cui l’assenza fa paura. La distanza crea distanza. Fermo, con lo sguardo fermo che deforma il soffitto.

Come una spirale

Seduto in riva al fiume. Fumo una sigaretta prima che la corrente la trascini via. Mi fermo a guardare il verde illuminato dal sole. Poi lo attraverso, e le scarpe sono bagnate. L’acqua è sporca. E fa rumore. Fa il rumore dell’acqua che cade e che non si può arrestare. Sono vestito di tutto punto, mentre la gente prova a sfoggiare costumi di stagione nuova. Perdo i miei pensieri. E il tempo sembra immobile e beffardo. Come una spirale. Due uomini osservano una giovane ragazza. Le vite si muovono avanti e indietro. Corrono e non ti incuriosiscono. Guardo i sassi intorno a me. Sono ricoperto dal fumo del mattino. Amaro, come una spirale.

Li ha piegati con la sua violenza

Mi trovo a correre su quella sabbia morbida, bagnata. Mio padre sembra non accorgersi dei miei spostamenti. Scandaglia la spiaggia cercando conchiglie che conserverà e catalogherà scrupolosamente. Io ho le scarpe impregnate d’acqua salata, e lui si prende gioco di me, stringendo quei suoi pezzi da collezione tra le mani. Mi mostra soddisfatto la più grande. Poi la infila in tasca, insieme con le altre. Ha le tasche piene di conchiglie e abbozza un sorriso quando lo invito a seguirmi. Mi raggiunge continuando a parlare e mi guarda con curiosità. Si diverte. Il vento ha modellato gli alberi. Li ha piegati con la sua violenza. Con la sua costanza.

E allora riorganizzo tutti gli elementi che ho a disposizione per definire un piano di ripresa. La situazione generale é cambiata ma noi siamo rimasti gli stessi. Bisogna prenderne atto, abituarsi, adattarsi, chiudere gli occhi e pensare che non stia succedendo nulla, se necessario. Mancano pochi giorni al mio ritorno e non ho in pugno nessuna soluzione. Ho solo una speranza. Una speranza enorme.

La spiaggia é deserta come in un pomeriggio di fine dicembre. Due corpi che corrono in direzioni opposte. Poi s’incontrano, e si separano ancora. Scrivi qualcosa sull’acqua. Disegni due corpi, che si nascondono e che si ritrovano. Poi scompaiono. Te la prendi con me e con le mie reticenze. Mi guardi e quasi mi vorresti uccidere. Comincia a far fresco. Raccogliamo tutto e andiamo via. La pioggia, a breve, bagnerà le nostre teste. L’indifferenza e la vergogna, mesi dopo, cancelleranno quella spensieratezza.

Mi chiedo dove sia finita la Regina del Regno dell’Est. Ho tra le mani un vecchio quaderno d’appunti. Tre diversi profili d’un Luigi che sarebbe divenuto un tormentone. Souvlaki e Ghemistà sullo sfondo. Qualche caricatura. Monologhi e scambi culturali. E non é solo una data a sorprendermi adesso, quanto piuttosto l’evoluzione lineare d’un rapporto mai in difficoltà. Dove siamo finiti, Regina! E come è stato possibile arrivare fin qui!

E’ la neve di primavera dagli alberi in fiore

Lasci la casa nel cuore della notte. E mentre sfiori le pagine gialle su un letto disfatto la luce si fa fioca e complice. Mi dispiace, ripeti. Mi guardo intorno e non comprendo la velocità, la fretta. Dormi su un tappeto colorato priva d’anticorpi a quel fiume emotivo. Come siamo costretti in una simbiosi senza libertà! I capelli sporchi e quell’aria tra il felice e lo spaventato. E gli occhi che scintillano di una inutile follia. E che brillano, tra le parole e i ricordi. Il mio sorriso mi intristisce e mi spaventa. Mi infastidisce. La luce adesso attutisce i rumori, le sensazioni, le paure. Mi rifugio tra il piumone e la mia distrazione. Sudo. Sembra che il silenzio non lo abbia mai conosciuto. Quel silenzio accecante, assordante, che quasi fa male. Un giocattolo, forse un animale. Pat. Pat. Pat. Forse i fuochi sono dentro di me. Pat. Pat. Pat. Forse quella parete si tingerà di rosso a più riprese. Fotografo un tramonto sul fiume mentre mi tieni per mano. E’ la neve di primavera dagli alberi in fiore. Mi fermo e ti vedo fuggire lontano. Non succederà più. Che possa assordarmi il silenzio che sto cercando! Che possa assordare con la ricerca d’una sola convinzione! Tienimi per mano, per favore. L’autostrada si fa vuota, come una corsa per non crollarti addosso. Ho freddo, qui fuori. Fumo una sigaretta nel mio cantuccio buio. Quattro giovani eritrei scambiano battute inanimate. Ne fumo un’altra. Osservo quella gente che cena silenziosa. Coppie di giovani coppie senza un presente. Sembra che nessuno mi stia notando, tranne lui, che mi fissa con la sua aria triste costruendo l’ennesima storia sbagliata. Rumore di metallo sul pavimento. Piango colpendo il materasso. Ancora metallo, gli occhi sgranati, il tempo che non passa mai. Mi chiedo cosa passi per la testa a quella ragazza che mi siede di fronte. Si guarda intorno, con il suo anello evidente. Offro una sigaretta per ascoltarmi, per sentire cos’ho da dire. Non ci vedremo più, lo sai. Riempiti di me allora, e sputa fuori quel che credi sia opportuno. Quell’accento senza correzioni si spinge oltre e prosegue il suo cammino. Adesso la musica stordisce anche me che attendo e tremo. E quella puzza penetra le fessure, penetra i corpi, penetra la mia notte insonne. Stringimi forte, te lo chiedo per favore.